Ce li siamo scordati in un cassetto i nostri poveri adolescenti. In tempo di COVID-19 sembrano essere finiti nel dimenticatoio. Se ne parla e se ne è parlato, certo, ma non abbastanza e forse non nel modo migliore. Già prima del Coronavirus – ormai spartiacque della nostra vita – quasi il 50% dei nostri ragazzi risultava avere frequenti episodi di tristezza, ansia e depressione. Che ne sarà dopo, visto e considerato che stanno correndo il rischio di essere una generazione dimenticata?
Abbiamo chiesto loro responsabilità…
Giusto, anzi giustissimo… è la leva migliore per farli sentire valorizzati, padroni della loro vita e tassello importante della società! Poco prima della responsabilità, però, c’e stato il ritenerli responsabili. Tra i primi soggetti mirino della gogna mediatica dei social di paese (forse ancora prima dei runners) c’erano proprio loro. Adolescenti che si ritrovavano sbattuti sulle bacheche dei gruppi del quartiere verso i quali sono volate le peggio considerazioni. In prima battuta hanno sentito il peso di essere ritenuti “non sufficientemente attenti” o “inconsapevoli di ciò che stava accadendo”. Solo dopo è stato dato loro il valore che si meritano con l’invito ad essere responsabili! Appena usata la parola giusta i risultati si sono visti… si poteva saltare il primo passaggio?
C’è poi la scuola…
Una creatura un po’ bistrattata in questi giorni. La scuola italiana sembra sia tra le più stressanti e ansiogene del pianeta. Forse proprio per questo peso a cui sottopone i nostri ragazzi è spesso da loro vissuta con un po’ di pesantezza. Allo stesso tempo, però è così cruciale e portante per il loro sviluppo e benessere personale, emotivo, psicologico e relazionale. E questo lo sanno e lo hanno maturato.
Quando si parla di adolescenti, però, troppo spesso è stato dipinto il ritratto di una generazione che della scuola e dei professori non ha rispetto. La scuola degli studenti irrispettosi, la scuola degli studenti che bullizzano i professori, la scuola degli studenti che se ne fregano. Tutto all’improvviso la scuola, però, è diventata dominata da studenti che si arrampicano sulle finestre per avere un segnale migliore o che destinano gli ultimi GB del telefonino alle videolezioni invece che alla chat con l’amico. Ci hanno scambiato gli adolescenti di notte? Non credo! Eppure non si è dedicato lo spazio sufficiente a queste loro storie . O almeno non lo stesso spazio dedicato in passato ai video girati in aula e diffusi in rete (giustamente riprovevoli non lo nego). Ci siamo dimenticati degli studenti…ma sopratutto non abbiamo sfruttato a pieno l’occasione per valorizzarli e farli sentire capaci e meritevoli.
Il capitolo scuola non finisce qui…
Scolasticamente ce li siamo dimenticati anche sotto altri aspetti. Si parla di maturità…e molto! E le altri annate? Che ne è delle altre annate? Dai media emerge una sorta di percepito della scuola che alterna due visioni. La scuola–esamificio -dove il problema è la modalità di svolgimento dell’esame finale- e la scuola–parcheggio – quasi fosse lo strumento inventato per ospitare i bambini mentre i genitori lavorano-. Temi importanti, certo, ma ne esce un dipinto di scuola quasi snaturata del suo valore educativo e formativo .
Troppo spesso si dimentica di citarne la sua vera funzione, un pilastro della società! Nascosto tra le righe viaggia un implicito e segreto messaggio: che la scuola serva solo ai più piccoli, perché sostitutiva dei genitori. I nostri adolescenti che possono starsene a casa mentre mamma e papà sono a lavoro, quindi, non hanno bisogno della scuola? Forse non hanno bisogno di quel mondo educativo e formativo? Non stanno vedendo mutato e snaturato il contesto che più influenzerà la loro vita e il loro futuro? Ce li stiamo proprio dimenticando.
Per non parlare poi degli Universitari
Alcuni di questi più che giovani adulti sono tardo adolescenti. Su di loro è calato un drammatico velo di silenzio. Parliamo di alcune migliaia di giovani che hanno appena poggiato le prime pietre della loro vita futura e che vedono ora i loro progetti sbiadire a poco a poco. In questo complesso momento che stiamo affrontando questi Giovani vedono il loro mondo finire ai margini. Non emerge così tanto l’interesse per questa realtà, se ne parla molto ma molto meno che di tutto il resto. Eppure saranno loro che dovranno ricostruire la società e pagare i debiti e le mutazioni economiche, sociali e culturali. Sono finiti in secondo piano, si da loro meno spazio e rilevanza. Qui l’implicito e nascosto messaggio – magari non reale e non voluto ma che comunque arriva- suono più o meno così: siete meno importanti. Ce li siamo dimenticati.
Ma sopratutto ci stiamo dimenticando di loro dal punto di vista delle emozioni.
Una premessa: viviamo, a mio parere, in una società nella quale far emergere una fragilità, dire di sentirsi in ansia, di sentirsi giù è pericoloso. Viviamo una cultura che ha fatto della sofferenza psicologica un male segreto. Un male che deve essere curato e maturato nel segreto della famiglia. Un aspetto della vita che ognuno deve risolvere da sé (o al massimo con il parrucchiere). Troppo spesso – nei più inconsapevoli e ingenui modi – si è fatto del supporto psicologico una cosa per deboli, per falliti o solo per chi ha subito cose tra le più atroci. Chi vive una vita fatta di eventi nel complesso “normali” sembra non avere il diritto alla fragilità. Questioni della serie “ti lamenti per così poco c’è chi sta peggio di te”. Quest’aria la respiriamo tutti, anche i nostri adolescenti.
In questi giorni il mondo degli adolescenti è un mondo dimenticato. Lo è perché la fatica del non vedere gli amici, la fatica dello stare in casa, e altre mille fatiche rischiano di non essere sufficientemente degne di attenzione. O, almeno, non quanto lo possono essere i problemi economici, di gestione familiare, dell’impossibilità di stare vicini ai cari in difficoltà, o della morte di amici e familiari a cui non si è potuto dare un ultimo saluto.
Ce li stiamo dimenticando perché li carichiamo di un’altra responsabilità…quella di portare il peso delle fragilità di tutta la famiglia. Molti si sentono in dovere di non essere un peso ulteriore perché papà ha perso il lavoro e non si lamenta; mamma lavora in ospedale – o “in trincea” come siamo soliti dire in questi giorni – e continua ad essere forte; zio ha chiuso il bar due mesi fa e non sa quando riaprirà ma non si arrende; perché la sorella di nonna è morta per il COVID ma nonna ha ancora il sorriso. Dietro a queste storie ci sono mille emozioni non dette, un po’ perché le temiamo, un po’ perché non vogliamo far sentire male gli altri, un po’ perché nel nostro bel paese funziona così.
Ci sono in realtà stress, ansia, depressione, attacchi di panico e altro. Tutte queste emozioni e sensazioni non dette dai noi “mondo degli adulti” arrivano però a chi ci sta attorno e in particolare agli adolescenti. A loro arrivano come macigni che li fanno sentire responsabili ed in dovere. In dovere di farsi carico delle fragilità altrui perché le loro, in fondo, sono di minore importanza.
Il genitore forte di fronte a tutto, in questa situazione, porta alla logica inferenza che le debolezze non vanno bene. Il dramma del genitore che non sa più come mantenere la famiglia o che sopporta le grosse perdite affettive parrà ai loro occhi immensamente più importante del loro dramma personale. Un dramma che finisce nel calderone della “crisi adolescenziale”. Vivono un’età nella quale è importante sentirsi forti, in una società dove chi soffre psicologicamente rischia di essere definito come debole, in un momento in cui le attenzioni sono per altro. Questo insieme di cose rischia di dare origini ad una generazione dimenticata. Può far si che gli adolescenti tengano per sé questa sofferenza, rimuginandoci, ritenendola sciocca, cosa da poco e da deboli.
Non ci sarebbe niente di più confortante in questi giorni di un genitore fragile. Un genitore fragile quanto il figlio adolescente, fragile al punto da ammettere che in questa situazione anche lui non è così preparato. Disposto a condividere un’emozione, anche e sopratutto quelle spiacevoli, perché sono caratteristica comune a tutti gli essere umani. Genitori in grado di mettere in campo la loro fragilità perché i nostri adolescenti non si sentano sbagliati.
Va davvero tutto bene?
Ho parlato con diversi adolescenti in questi giorni e per quasi tutti “va tutto bene” , “Tutto ok”, “Il solito”. Sembra quasi che per alcuni questo periodo sia scivolato addosso come nulla fosse. È forse in atto quel processo che ho descritto poco sopra? Va davvero tutto bene o ci sfugge qualcosa?
Io ho paura!
Ho paura che non abbiamo offerto abbastanza spazio alle loro emozioni. Paura che li abbiamo portati a considerare le loro preoccupazioni come “non meritevoli”. Paura di essermi dimenticato di loro. Ho paura che se quest’anno sta negando loro qualche uscita al bar, una festa in spiaggia, una gita con la loro classe, il suono condiviso dell’ultima campanella, il ritrovo al parco, una serata in discoteca, qualche serata “a casa di Giulia” (che in realtà è a casa di Marco), l’emozione di un concerto, l’abbraccio consolatorio di un amico, la rabbia nello spogliatoio al termine di una finale di campionato mancata – tutte gioie recuperabili in qualche modo – noi gli stiamo negando di più.
Alternando il ritenerli responsabili al chiedergli responsabilità, non valorizzando gli sforzi che fanno con la scuola, non riconoscendo la loro parte di fatica, nascondendo le nostre debolezze rischiamo di negargli il diritto e il piacere di raccontare un’emozione, di provarla appieno, di viverla con libertà. Rischiamo di negare loro diritto di essere e sentirsi fragili. Ho paura che ci stiamo dimenticando di fargli capire che sono forti e pieni di risorse e che di loro ci si può fidare. Di non avergli fatto capire che non sono sbagliati o indisciplinati ma che si stanno solo sperimentando. Che ci siamo dimenticati di far capire loro che ciò che provano è normale ma sopratutto che è importante. E i danni di questa privazione, purtroppo, non si sanano facilmente.